martedì 17 ottobre 2017

Dall'aratro al drone. Che immagine ha l'agricoltura?

di Luciano Sassi 

a cura di Alessandro Cantarelli

L'intervento del convegno: “La Terra. Lascito dei genitori o prestito dei figli? Le contraddizioni del processo di evoluzione e trasformazione dell’agricoltura italiana.”



Il Relatore si occupa di storia dell’alimentazione, della gastronomia e per una parte, di storia dell’agricoltura. Nella bassa Lombardia – dove vivo e lavoro -, mi occupo di storia dell’agricoltura e del paesaggio agrario, in una zona appunto della Lombardia che si è molto modificata nel tempo.
Una delle cose ad oggi più complessa è l’immagine dell’agricoltura. Gli agricoltori sanno cosa è l’agricoltura, ma “gli altri”, che sono veramente tanti, se la “immaginano” e tante volte se la immaginano in maniera completamente sbagliata o rappresentandola con schemi del tutto personali che debbono dare soddisfazione più ad una idea che alla realtà. Si creano cioè delle immagini (nel bene ma a volte anche nel male, n.d.r.).
“Del fido cultor la man sagace"
Questa frase è di Giuseppe Antonio Ferrario –1836-, che è l’autore del libro “l’agente di campagna, ossia regole esperimentata accomodata all’intelligenza dei contadini per loro maggior profitto”. Nel 1836 si cercava di “mettere in fila” l’agricoltura per cercare di produrre di più (come è stato detto negli interventi precedenti); soprattutto si cercava di rivolgersi ai contadini - la maggior parte dei quali non erano peraltro contadini, ma grandi proprietari che davano in gestione porzioni delle terre a famiglie di contadini - per spiegare come poter migliorare il raccolto.Piccola parentesi che riguarda il giorno di S. Martino (11/ novembre), che cade proprio oggi.
Dalle mie parti, il giorno di S. Martino era una tragedia perchè le grandi aziende fondandosi sul lavoro salariato questi (i salariati) avevano un rapporto di sudditanza con la proprietà. Poi, nel tempo, le aziende sono diventate più piccole…, anche se ora si sta ricreando il latifondo… Perché una tragedia? Perché la gente, le famiglie venivano mandate via dalle grandi aziende quando per un nonnulla non si rinnovavano i contratti. Nella bassa Lombardia vi erano cascine con 50 famiglie residenti. Realtà agricole molto grandi, ancora oggi vi sono cascine di circa 500-600 ha in produzione, con 1.500 vacche sempre in produzione, realtà abnormi rispetto la pianura a sud del Po.
Di queste aziende, ci sono ancora le strutture, le case ormai abbandonate ed il giorno testimonianza implicita di quel giorno di S. Martino.
Anni fa Sassi ho raccolto una testimonianza del giorno di S. Martino. Questo “carro di S. Martino”, da un pò l’immagine di come era l’agricoltura di quel tempo (siamo prima della guerra), ma non è che siano trascorsi moltissimi anni! Chiusa la parentesi per l’11 novembre. E oggi l’immagine della agricoltura da cosa è data? Al di fuori dei campi e dei paesi agrari, l’immagine è data dalla città, che appunto non partecipandovi direttamente, se la immagina. La vede in modo molto romantico: le cascine, la brina, il nonno che taglia l’uva con la forbice, le mani grosse  e, via cose di questo genere…, la rezdora (termine dialettale padano per indicare la donna di casa, la massaia, spec. nelle famiglie rusticane).
Per carità cose bellissime, che vediamo ancora e che ci ricordiamo. Come tagliare l’erba con la falce, ossia quella lentezza che è collegata con un problema: la genuinità. Sapere cosa è la genuinità è una cosa strana, tuttavia. 

Genuino= nella mentalità dei più è lavorare con le mani, “l’artigianalità”. Di conseguenza, intervenire con la macchina significa “deformare” questa genuinità. Bellissimo…, la rezdora…, ma siamo ancora sul romantico. Per cui tutto quello che è BUONO-CORRETTO-SANO-GIUSTO, non lo è se non è fatto a mano. Oggi però sappiamo che fare a mano le cose, significa essenzialmente produrre poca roba! E vuole anche dire fare fatica! Una volta la superficie agraria veniva misurata con i tempi di aratura di una coppia di buoi: quanto tempo ci metteva ad arare un pezzo di terra, in una giornata di lavoro, una coppia di buoi. Quella diventava la misura agraria di quel luogo! Questa ultima cambiava perché nei terreni forti ci voleva di più tempo per arare una determinata superficie mentre in quelli leggeri di tempo ce ne voleva meno e quindi se ne arava di più. Tutto questo mondo di immagine dell’agricoltura, nasce come idea quando lo svizzero Scheuermeier, tra il 1920 ed il 1930 venne in Italia ed iniziò a fotografare mettendo in posa i protagonisti delle aree agricole visitate.
Rimase due mesi in un paese vicino al mio (Sassi). Prese un signore del paese a fargli da guida e, quindi pian piano, andò per cascine e fece una montagna di fotografie, cercando di capire anche il dialetto. Oggi tutto questo è un documento “spettacolare”; questa fu l’immagine/i che venne/ero fuori, tuttavia bisogna ricordarsi che la gente veniva messa in posa…, vestiti puliti…, quelle persone non erano lì a lavorare…, però tuttavia ci rende un pò l’idea di quello che era. Si riprende un po’ la provocazione di Emiro Endrighi e Sassi si è chiesto: esistono ancora i contadini?  Dalle mie parti si chiamano “imprenditori agricoli”, perché oggi, per potere condurre una azienda agricola devi essere un imprenditore, non puoi più essere un contadino, perché hai a che fare con la PAC, con l’Europa, col mercato, col prezzo del latte…
Contadini lo sono nell’anima (sono famiglie contadine, coi genitori, nonni…, che vengono dall’agricoltura), ma non più come si intendeva nel Medioevo “gli abitanti del contado, coloro che lavorano la terra” e basta. Certo, hanno questo rapporto e sono orgogliosi delle loro radici, si ricordano da dove vengono, conducono queste aziende ma devono soprattutto guardare a dove vanno. Oggi abbiamo questo problema: del prezzo del latte, per esempio.Nel comprensorio del Grana Padano sono avvenuti dei disastri con le quote latte (un amico agricoltore della Lombardia a dicembre 2014 aveva il prezzo fissato a 36 €/q.le; dopo due mesi –fine del regime delle “quote latte”-, l’industria gli impone 34 €/q.le…,ora sta comprensibilmente annaspando!).
Noi oggi abbiamo aziende stra-indebitate per le quote latte, che anche se nell’aprile 2015 le hanno tolte, per 10 anni dovranno pagare il mutuo, così come vi sono state aziende che le quote invece non le hanno mai pagate! Perché una parte politica gli aveva detto di andare avanti lo stesso, che le multe tanto le avrebbe pagate lo Stato. Ora, anche questa è l’immagine dell’agricoltura; ovverossia quanto si pensi che nelle città si sappia di tutto questo, se non quando vedono sfilare i trattori delle proteste nelle città stesse? Risposta: niente. Quando una persona acquista al supermercato un genere alimentare, quanto pensate che conosca, quanto lavoro ci sta dietro? Sono cose complesse, problemi notevoli e difficili da fare capire. Lasciamo perdere per un momento le sofisticazioni (es. le passate di pomodoro cinesi…, che escono dallo stabilimento come italiane…!), che costituiscono comunque anch’esse problemi notevoli. L’altra cosa, l’altra questione, che va in parallelo con le precedenti è quella della geografia agraria dei consorzi di tutela: aspetto affrontato nella Summer School 2015 di questo Istituto. Difatti i disciplinari di produzione cambiano il paesaggio agrario: prati di medica a Parma (paesaggio più verde) contro il paesaggio arato a Piacenza: nel disciplinare di produzione del Parmigiano Reggiano non si possono utilizzare gli insilati, se non in maniera molto limitata.
A luglio dalle mie parti il paesaggio “scompare” perché a 3 m si ha il “muro” del mais, per poi “riapparire” invece dalla metà- fine di agosto con la trebbiatura. In quest’ultimo caso, il disciplinare del Grana Padano disegna quel paesaggio e, solo chi attraversa spesso il Po e/o ci vive riesce a percepirlo. L’altro problema grosso che si propone e, di cui spesso si sente parlare, è quello del km zero. Un es. per spiegare meglio. La fascia nord della Lombardia, quella pedemontana che va da Milano a Brescia, ha 7 milioni di abitanti (pari all’Austria ed il doppio della Norvegia), su una popolazione regionale di 9 milioni. Ed allora, come si fa a dare da mangiare a 7 milioni di persone col Km zero? Dove sono gli orti? Non ci riusciremo mai! Come si fa a dire ai milanesi: “voi le arance non le mangerete mai!”, solo perché vengono dalla Sicilia o dalla Spagna? A Milano infatti non crescono! Tutto questo significa che la libera circolazione delle merci, dei prodotti agrari (un “mercato rotondo”), siano un problema, un disastro? Tutt’altro!
E’ casomai ovvio che ci possano essere dei problemi: anni fa il tg. andò avanti un mese circa a dire (sotto Natale), che le zucchine erano arrivate a 4,50 €/kg! Ma c’è da chiedersi quanti sanno che a dicembre le zucchine se non le metti nella serra non crescono! E se ci sono –10°C, hai voglia a scaldare! Ed allora, se vuoi le zucchine le paghi! Ovviamente chi queste cose non le sa, o le percepisce come fregature del mondo agricolo…, o comunque non capisce come funzionano le cose. Tutto questo per tornare alla domanda iniziale, quale immagine proporre? A Casa Cervi si cerca di riproporre la “piantata emiliana”, le viti maritate, che sono qualcosa di meraviglioso a livello di paesaggio agrario, una volta si faceva così, ma a livello di produzione, tale criterio sistematorio è superato!
Oggi invece, abbiamo importato il “sistema francese”, che ha fatte diventare caratteristiche le Langhe e la Toscana. Con tutti i vigneti che sono un paesaggio di tipo francese come impianto vitivinicolo, ma che così facendo hanno caratterizzato un paesaggio italiano. Quest’ultimo aspetto non è un problema, anzi! Il problema è che dobbiamo avere un rapporto con questo mondo, con tale sistema di coltivazione e, pertanto le forme di allevamento delle viti devono essere adatte alla raccolta meccanica, in modo che le macchine (anche quelle per l’effettuazione dei trattamenti), passino a cavallo dei filari, ad es. L’altro problema grosso sull’immagine dell’agricoltura, sono gli agriturismi: su questi ci sarebbe da aprire tutto un mondo. Quello che era nato come un sostegno legittimo al reddito agrario, sta diventando l’aberrazione. Oggi quando si va negli agriturismi, non si vede l’agricoltura. Si vede il pony, l’asinello, la fattoria ristrutturata, la capretta e la piscina, il carro rimesso a posto (addirittura sistemato nella sala da pranzo, perché fa molto “rustico”), ma il problema qual’è? La gente che viene dalla città e che vuole avere il “sapore” della campagna, in queste condizioni cosa “sente”? Quale è l’immagine dell’agricoltura? Quella bella, pulita, tutta a posto, come nella slides? Bene, però nella maggior parte dei casi, alla faccia dei disciplinari, la materia prima è acquistata fuori e quindi non prodotta all’interno dell’azienda. La gente che va lì, quanto sa di “questa” agricoltura? La ricerca è comunque quella del genuino. La gente appunto cerca il “genuino”, per poi andare nella realtà in un agriturismo, dove spesso i prodotti sono di provenienza extra aziendale. E allora? Vado lì, sperando che quello che mi da l’agriturismo sia genuino e buono, perché fatto a mano, dalle mani dell’agricoltore che ospita. Poi però sappiamo che non tutto ciò che si fa a mano, è necessariamente buono: anche qui ci sono i bravi agricoltori ed i cattivi agricoltori. Alla fine, la nostra ricerca sembra essere quella di un mondo che c’era prima della guerra, con buoi, cavalli, fienili, gente che lavora con le mani. Prima nei fienili l’erba la si ammucchiava con la forca, poi si è passati alla balla parallelepipeda, per poi arrivare alla rotoballa.
(L’immaginario e la realtà). Si riporta nel merito una piccola testimonianza raccolta da un allora bambino, a metà degli anni ’60…, con l’amichetto di città che era venuto a trovarlo e che piange alla vista, in cascina, di una vacca dall’aspetto ben più grande (si era spaventato!), di quelle come se la ricordava dalle immagini del libro di scuola! Questo episodio, per dire che per chi vive in campagna questo è tutto naturale, scontato (come per l’appunto la grandezza di una vacca!), ma per chi vive fuori dalla campagna, non lo è! Altro problema, la P.A.C. (Politica Agricola Comunitaria, n.d.r.). La P.A.C. può essere una cosa buona o cattiva: dipende da come la si gestisce.
Un altro problema è quello delle mode, lanciate dalle aziende nelle fiere come ad es. in occasione di TuttoFood a Milano, dove le aziende suggeriscono il linguaggio: “senza sodio”, “senza glutammato”, “senza zucchero”, “senza glutine”…, “vegetariani si diventa”. In pratica, si comincia suggerire che “togliere è meglio”, se si toglie…si è più sani! Pensate che fino a cinquanta anni fa (a proposito delle farine), di pane se ne consumava 3-4 volte di più (nelle famiglie). Oggi se ne mangia di meno, ma probabilmente ci si “ammala” di più! Fa impressione l’affermarsi di questo mondo dietologico sbagliato. La logica vuole che uno deve togliere qualcosa se è effettivamente intollerante, ma è sbagliato toglierlo prima o preventivamente, nell’illusione che così non si diventa intolleranti, (come ad es. al lattosio, n.d.r). Perché allora, significa che questi sono comportamenti indotti dalle aziende/industrie. E’ un suggerire un mercato dove il litro di latte costa di più (il doppio), perché si arriva a pensare che “costa tanto perché si produce in un certo modo…, quindi lo devo pagare di più, perché se costa di più vuol dire che vale di più e così…non mi ammalo!”. 

L’altra considerazione: il desiderio di tornare alla terra. Nelle città stanno funzionando molto gli orti, ma attenzione!...due anni fa a Roma un professore della Sapienza ha ottenuto di avere degli orti vicino il raccordo anulare e la parte abitata. Il terreno era inquinato! Ed allora, ma quale “ritorno alla terra”!
Tutto questo, ha dato l’idea a Sassi di quelli che erano, gli orti di guerra, dove alcuni testi spiegavano come farti da mangiare utilizzando tutti i centimetri (di terreno, n.d.r), immaginabili! Con la crisi che c’era stata in quei tempi, forse era utile…, perché effettivamente molta gente “tirava la cinghia”. Un’altra cosa, il bio-organico: tutto buono, pulito e giusto, che però va a cozzare spesso con il concetto di produttività, - come è d’altra parte emerso dalle relazioni precedenti-; allora tutto questo va valutato.
Un’ultima considerazione: il linguaggio. Lo stracchino “del nonno”, i biscotti “della fattoria”…, le conserve “della nonna”: che rapporto c’è tra questi due mondi?Il biogas: quest’ultima tecnologia nasceva come opportunità di reimpiego dei sottoprodotti –liquami, cascami ecc…, per poi diventare invece un danno nei casi in cui si debba lavorare per il biodigestore. I biodigestori in parecchi casi, sono stati costruiti sovradimensionati, ed hanno così creato una marea di debiti…, col risultato che oggi si coltiva la terra per dare da mangiare ai biodigestori. Fanno danni grandi, oggi, perché si coltiva la terra per dare da mangiare ai biodigestori! Conclusione (proposta): sono solo le città e le industrie che costruiscono l’immagine della campagna e del cibo che quest’ultima produce? E’ stata messa come domanda, in realtà è un’affermazione. Allora il tema è come sapere comunicare correttamente l’agricoltura, uscendo quindi dal “sentimento”, per ragionare con la realtà. I presenti in sala sanno cosa era prima l’agricoltura, che cosa voleva dire (questo è giusto e doveroso), bisogna però ricordarsi anche di dove stiamo andando, ed il rapporto tra le due cose è assolutamente necessario. 


Luciano Sassi 
Diplomato all’Istituto Superiore di Roma in conservazione di beni archivistici e librari dal 1980 si occupa di ricerca storica e conservazione documentale. Dal 1990 si è concentrato sulla ricerca storica inerente il rapporto fra alimentazione, gastronomia ed agricoltura. Dal 1994 si occupa di Disaster management, nell’ambito dei beni culturali. Libero professionista dal 2010 è presidente di Ecomuseoisola e poi collaboratore della Biblioteca Archivio Emilio Sereni.

1 commento:

  1. Grande e meditata obiettività in questo resoconto. Mi ci ritrovo in tutto. Una sola ulteriore constatazione aggiuntiva: il latifondo odierno ha la superficie certificata biologica...basta analizzare le statistiche per sincerarsene.

    RispondiElimina

Printfriendly